O David sceso dal marmo
che t'ergeva sul mondo,
ti guardo tacendo mentre
chiudi le braccia di tufo
sulle ginocchia e allacci
così facendo in tondo
le tue incombenze,
le insidiose cose del vivere
che reggi sulle vertebre
senza dèi che soccorrano
gli affanni.
Le aprirei a forma di ramo
come un leggìo rivolto al
cielo
come il nodoso braccio d’ulivo
dove pendeva l’altalena dei miei
sei anni.
Neppure su questo seno
lacustre
ormeggi la tua stanchezza
ostile, la tua guardia
armata
alla prossima battaglia.
Ma ascolta qual pensiero
gentile
culla dietro le mie ciglia
questa brezza.
Il tuo orecchio di
madreperla racchiude
il mare, la musica del
pianeta
quando d’un tratto
cominciò a respirare.
Fu quello il miracolo più
grande,
quando alla terra fu data vita
a mezzo d’aria.
Senti come le onde delle
cose,
le fluide cose del vivere
sono echi d’inestinta
materia,
stelle sottomarine
e arenaria,
e nessun dramma o rumore
disturba il quieto ciclo
delle ore.
O David sceso nel mondo,
riponi il tuo grazioso
biancore, i lampi grigio-azzurri
del tuo broncio,
e mostra il tuo volto
giocondo.
Disciolto il marmo che avevi
in cuore
mostrati a me dalle acque,
mostrati a me dalle acque,
e al mio fianco di sorella
vieni a cogliere la coccola
più bella
dal rosso ramo del mirabolano,
vieni e riposa nella mia la
tua
mano.