venerdì 23 ottobre 2020

Lettera

Il mio amico carissimo è morto. 

Si è incamminato verso il declino 
un controllo dopo l'altro
precipitando.
Gli ultimi mesi era chiuso in una cella
sterile, a guardare serie su Netflix.
L'incarnato innaturale, le spalle smilze,
lo sguardo terrorizzato
solo
alla finta finestra del quarto piano
stazione cinquanta camera dieci
attendendo che le cellule cannibali
finissero il lavoro.
Di lui volevano tutto
lo stomaco la linfa l'aria
il futuro dei figli guardato dalla cella
in cui sarebbe morto inutilmente
inutilmente inutilmente morto.
Un giorno era seduto annebbiato
sulla sedia in controluce
a ricevere le visite
il giorno successivo a letto
composto con un disegno del figlio
sulle mani giunte, un corvo nero.
Perché un bambino di cinque anni
disegni un corvo nero
spiegamelo tu ora che vedi la nostra miseria
in questa cella
dall'altra parte dello specchio.
La vita per un morto
non è finita, ti spettano ancora
i nostri lutti e la rivalsa
contro i tuoi ultimi giorni.
Mi sembra di non poter gioire
ora che non ho te per condividere
i nostri piccoli dispiaceri 
di immigrati orfani di terra
e i grandi temi che ci piegavano.
Riuscivi sempre a volgere tutto
in filosofica accettazione
persino la prima volta che tua figlia
disse a sorpresa davanti a tutti 
la parola proibita.
Se almeno tu mi avessi scritto una lettera
anziché passare tutto quel tempo
a narcotizzarti con le serie americane
aspettando di uscire dal ricovero
se almeno io avessi un tuo foglio
vergato debolmente e lucido
con le parole della nostra amicizia
con l'eternità dell'amore
almeno una filigrana estrema
della tua presenza
almeno la luce
in fondo
il tuo nome
Umberto