martedì 31 dicembre 2013

Family

FAMILY

È colui che più ama la propria famiglia che ne diventa il peggior critico. Chi riesce a sorvolare su troppe cose, a fare buon viso a cattive usanze, non dando peso ai vizi e alle credenze, in fondo non ha a cuore gli individui della famiglia, ma solo il proprio quieto vivere. I suoi fratelli, ad esempio, lo deridevano perché lui se la prendeva maledettamente per l'abitudine che avevano i genitori di riempire gli scaffali di medicinali e di rifornire ogni stanza di calendari della farmacia, con un diabete o un Alzheimer ben esposti mese per mese. Non sopportava il tipico modo del padre di alzarsi dalla poltrona o di camminare trascinando le ciabatte come se necessitasse di un girello, per la semplice consolazione di sentire l'inerzia del corpo, o l'ottuso modo della madre di ripetere dei commenti di estrema destra contro gli immigrati solo per sentirsi dalla parte dei forti. Quello che lui sopportava meno di altro era l'atteggiamento della sorella, che non potendo uscire dalla ragnatela della famiglia - zitella  e con un lavoro di contabile per una piccola ditta -, imitava la voce, la postura e persino le parole dei vecchi genitori. Da qualche tempo questa sorella aveva preso ad occupare la poltrona del padre, dove lui usava stare seduto a leggere mentre la moglie cucinava il pranzo, e dove tornava a sprofondare subito dopo il caffè. Ora era la sorella che dopo pranzo si posizionava su quell'avamposto, e da lì controllava i movimenti degli altri, costringendo il padre a cercare rifugio nella camera da letto. La sorella, proprio come l'anziano padre, aveva commenti per tutto e per tutti, e da quella postazione fissa dispensava sguardi. Da piccolo lo aveva sempre infastidito la vacua e pigra presenza del padre, che dalla sua assenza sostanziale si nutriva dell'attività altrui: vagava per la cucina irritando la moglie, compariva come un'ombra dietro il figlio mentre questi ascoltava musica, si avvicinava alla figlia mentre leggeva per chiederle: "Stai leggendo?". L'assenza di relazione veniva colmata con parole, interrogatori, commenti, che grattavano la superficie irritandola, senza mai toccare corde più profonde e vitali.
Era certo che i genitori intravvedessero la tristezza di questa figlia in poltrona che da qualche tempo pareva essersi rassegnata alla sua condizione. Tutte le settimane si presentava per il sacramento del pranzo domenicale, si sistemava sulla poltrona, e si disponeva a tessere per ogni fatto della vita e della giornata un commento. Ultimamente non finiva neanche più le frasi, tanto era impegnata a riempirle della propria voce: cominciava un'osservazione per poi virare verso un altro enunciato neppure ben articolato, consistente in un'autoesplorazione del proprio vuoto, un susseguirsi di "vedi, è proprio così che uno poi... ah bene, sei riuscito, del resto non è che tutti possono farcela, ma tu sei proprio quel tipo di persone che... hai visto com'è buio già? eh, sarà lungo l'inverno, per me che mi devo alzare presto, eh, così è... chi è, la Betta? eh, dille che poi la richiamo, eh, c'è chi ha tanto tempo, proprio tanto... hai visto che è sceso il freddo? non mi dire che è già arrivato l'inverno! estate o inverno, io mi devo sempre alzare presto lo stesso... ah, dovrei proprio andarmene su una spiaggia... ma prendere il treno pure in vacanza, uhm... adesso si lamentano tutti dei treni, eh!, quanti anni ho viaggiato io in piedi come su un carro bestiame, ora si sono svegliati tutti... ah, bello quel maglione, te lo sei messo, sembra caldo, cos'è lana? misto? eh sì ora ci vogliono i maglioni più pesantini... ah, l'hai usato allora quell'orologio? cos'è, a molla? bello, triangolare, ora si usano tutti così, questo mio è vecchio ormai, ma tanto, eh, che vuoi farci, va bene lo stesso...". Poteva andare avanti così per ore, con voce tediosa e mal controllata, nella riduzione del creato alla sua misura.
Lui aveva l'impressione che ai genitori stesse bene così, anzi, che loro avessero in segreto cullato la speranza che la figlia rimanesse vicina e fedele. Proprio quando stava cominciando a chiedersi se i suoi pensieri non fossero esagerati, la sua bambina, in visita dai nonni, cominciò ad accusare uno strano nervosismo, come se fosse esasperata, sinché senza preavviso non esplose gridando in mezzo alla stanza in preda alla sua prima crisi di nervi: "Basta, state sempre tutti a parlare, sento solo queste voci, basta!". Un altro giorno aveva sentito la sorella giocare con la nipotina, mentre, dando voce ad una bambola, imbastiva un dialogo lamentoso: "Non uscire, fa freddo fuori, dove vai, ti puoi raffreddare, resta qui...". Aveva allora provato moltissima pena per questa sorella, perché "resta qui" era stato il ritornello della madre anche nei suoi confronti, motivato da una serie di ansie per pericoli percepiti in ogni ansa dell'esistenza. La sorella aveva in fondo solo obbedito alle richieste della madre: "Resta qui, dove vai, fa freddo fuori, non andare, qui stai meglio...".
Ciò che le famiglie non dicono - desiderare i figli incapaci di fare le cose, considerare i genitori incapaci di cambiare - è il vero scandalo, pensava.



PARTNER

Succedeva sempre all'improvviso che durante una conversazione al bancone di un bar o alla scrivania, su una questione di lavoro o su un argomento più rilassato, l'interlocutrice cominciasse a guardargli la bocca, fermandosi sugli angoli delle labbra, e non alzasse più gli occhi. Sapeva bene, perché aveva avuto delle corteggiatrici molto esplicite, che disponeva di una particolare esca, una speciale piega che prendeva la bocca quando parlava, che risultava irresistibile. Quando lo sguardo di una donna abboccava, lasciando appesi gli occhi al breve movimento di quella piega, capiva che la sua interlocutrice non lo stava più seguendo. Cominciava allora una negoziazione con se stesso sul da farsi, perché se da una parte a quel punto era facile portare avanti le cose sul piano personale, dall'altra non sopportava che alcune donne trovassero più interessante un dettaglio fisico insignificante rispetto alle parole che diceva. Più in là con l'età prese ad assaporare l'effetto di un certo potere, che poteva esercitare sino in fondo, rendendo ancora più ammiccanti le movenze della bocca e ancora più indifferente il proprio atteggiamento verso la donna. Dopo tanti episodi impuniti, un giorno la ragazza che sarebbe diventata sua moglie l'aveva messo al suo posto, chiedendogli con aria di sufficienza: "Ti trovi molto bello, non è vero?".
Ci aveva poi messo molto a convincerla a sposarlo. Lui aveva una buona posizione e una casa di proprietà in città, più un rudere di villeggiatura che stava rimettendo a posto. Lei era una donna molto curiosa che si era spostata ogni anno per vivere in un posto diverso, perdendo la possibilità di fare carriera, ma restando sempre molto interessata alle storie degli altri e alla propria evoluzione. Pensava che una donna così fragile avrebbe potuto conquistarla in breve tempo, esponendo come una coda di pavone le sue proprietà. Ma lei non era una merce di scambio. Anzi, ciò che la irritava negli uomini era proprio l'esibizione di forza, e ancor di più un certo atteggiamento dell'uomo arrivato che considera l'amore la ciliegina sulla torta, un abbellimento del quadro, un divertissement. Non sopportava l'uomo sicuro della propria posizione, disposto a includere una preda nel proprio territorio, ma non a spostarsi da lì. Sapeva di aver perso l'occasione di trovare un ragazzo suo coetaneo brillante e sincero che avviasse con lei un progetto nuovo, perché quella era l'unica condizione per il vero amore: incontrarsi da due posizioni diverse per muoversi verso un territorio vergine. Di fare la dama di compagnia non aveva proprio l'intenzione. Era vero però che molte giovani coppie che all'inizio avevano trovato un interesse comune in un'attività sportiva o nell'idea di una famiglia da fondare, avevano poi compreso quanto superficiale fosse il loro legame sentimentale e quanto illusoria la loro complicità. In generale per lei i rapporti d'amore erano infatuazioni che poi presentavano un conto salato in termini di riduzione della libertà personale.
Questa volta però non riusciva a smettere di pensare a quell'uomo vanesio e arrogante. Per di più lo incontrava di continuo, senza volerlo, come se il destino volesse prendersi gioco di lei. Lui voleva sempre presentarla a tutti, la invitava a casa dei genitori in provincia, le trovava collaborazioni con la sua azienda. Però c'era sempre un momento in cui lui diceva una parola sbagliata che le faceva capire quanto poco la tenesse in considerazione e quanto poco si accorgesse del suo acume, per esempio stupendosi quando i fatti dimostravano la ragione di lei. Fu così che, anche se alla fine si sposarono ed ebbero una bambina, lei lo lasciò dopo quattro anni. Eppure un episodio l'aveva messa in guardia sin da subito sul valore che lei aveva ai suoi occhi. Fu quando lui le ripetette oziosamente che se lei lo avesse sposato, tutti i suoi averi sarebbero stati suoi; allora lei poco dopo gli aveva chiesto per metterlo alla prova: "Mi regali un libro della tua libreria?", e lui aveva risposto tergiversando vagamente: "Ma no, non so, sono miei... Dai... andiamo di là ora".