domenica 15 dicembre 2013

Sul pianerottolo

Non accendere la luce, resta ferma. Stai nell'angolo, nell'ombra, immobile, tieni stretto, intero, il buio che t'avvolge. Se si rischiara, cessa l'incantesimo. Resta ferma per le scale, sul pianerottolo, nell'angolo che il lampione dai vetri non raggiunge, al muro, con le spalle cedevoli, stordita dal fumo e dall'odore di saliva.
Non potevo mettere una distanza, stasera. Un incanto era, la sua bocca intonata alle parole e al desiderio che le tratteneva, tesoro minerale, antro di magnifica miniera. Com'è successo che non potessimo più reggere tutti quei passi vuoti, ridondanti di sincopi, tutti quei centimetri fra le nostre mani?
Piano, fai piano, non spezzare l'incanto, resta ferma al terzo piano, lontano dal portone che s'apre al giorno e ai passaggi, chiudi gli occhi e trattienilo con te, lo stordimento per quei baci a forma di stella marina, nudi come il muscolo cardiaco.
Cerco il buco della serratura alla cieca, entro come un elfo che non lascia impronte, non so più di che sostanza io sia fatta, forse mi hai rubato le molecole del senno, perché non comprendo più dove posarmi se non ti posso guardare. Mi sembra di dover girare attorno, su me stessa, come in un antico folklore di donne possedute. Giro in mezzo alla stanza e poso una mano sulle labbra, le sfioro, sigillo, trattengo, rievoco un'intimità. Cosa vuoi fare con queste mie labbra, dimmelo. Perché domani non mi serviranno più a niente, né a parlare, né a nutrirmi. Mi sembra che di tutti i miei sensi, solo una memoria precisa e attonita abbia sostanza, la dolcissima linea che fa da tetto ai lucciconi dei tuoi occhi.

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