Sag es mir, was soll ich machen, wo soll ich suchen, wo soll ich finden den Teil von mir, der den Raum verlassen hat, und das Haus, und die Eylauer Straße und die Schätze, was soll ich machen mit diesen leeren Händen, wo soll ich sitzen, wenn das Sofa die Abwesenheit bezeugt, wen soll ich fragen, wenn ich nichts fragen darf, wie kann ich mich beruhigen, und wo soll ich mich beruhigen, wenn mein Zimmer auf den Schlag der Liebe verweist, was soll ich schreiben, wenn ich nichts sagen darf, wo ist der Mond, der den Kummer bestrahlt, jahrhundertelang und für die Ewigkeit, was soll ich trinken, wenn mein Mund so bekämpft wird, wo ist das Meer, das die Wurzel meiner Weiblichkeit lindert, wo ist das Wasser, das meinen dürren Körper besänftigt, wie soll ich hoffen, wenn mein Ruf in der Nacht stumm ist, wo ist der Teil, der mich füllt, schlägt, stürmt, brennt, überwindet und benetzt, wann soll ich aufhören, mich zu bestasten, wann soll ich aufhören, die Amputation zu erkunden, wann endet der Krieg der Liebe?
lunedì 14 settembre 2015
domenica 3 maggio 2015
La Casa
1
Aspetto da molti inverni. Aspetto e non succede nulla.
Un lunghissimo tempo è trascorso. Non ricordo bene gli eventi e i maltrattamenti, o forse ricordo troppo e divento vecchia. Da molte stagioni
sono sola. Non che mi spettasse una sorte diversa, ma questo vuoto assomiglia alla morte, e tuttavia vivo.
Mi hanno messa qui tanto tempo fa. Allora era diverso.
Molte attività si svolgevano nei campi attorno. C’erano buoi e arnesi da
campagna, parecchi uomini venivano dalla Signora a portare le insalate o le
patate, e da marzo in poi i rumori erano sempre presenti – a volte severi,
secchi, altre volte simili a campane.
C’erano anche le feste. Non spesso, ma nel tempo del
raccolto mi potevo aspettare molta gente attorno, vapori, pietanze, una lunga
preparazione, gesti ripetuti, suoni sovrapposti. Le porte sbattevano e questa
era un’esperienza notevole. La Signora faceva lavare tutto, le finestre, le
tovaglie, le coperte; faceva spostare la credenza in cucina, allora la luce esplorava gli angoli nudi nella stanza. Il
sabato di mercato acquistava una nuova porcellana a cui dava sempre il posto d'onore. La Signora era indaffarata, e si curava più del solito dei centrini e delle tende. Questo mi
piaceva particolarmente: erano tessuti splendidi, bianchi e turgidi, ricamati
finemente. C’erano in quei giorni dei riflessi dorati nel cielo: era la
stagione succosa in cui la terra si spreme per dare le riserve per l’inverno, e
l’aria si incendia come un falò di ringraziamento. Arrivava poi il primo
freddo: lo si poteva sentire nei vetri delle finestre, che diventavano a sera
più rigidi e serrati.
La serratura del portone d’ingresso era di ferro,
molto pesante, solida. Prima che arrivasse la notte veniva fatta scorrere
attraverso il legno: ricordo ancora quel suono e l’effetto della materia. Ora
la serratura è stata sostituita e questa privazione cambia molte cose. Nessuno
però ne comprende gli effetti, tranne me.
Di un elemento particolare avevo terrore. La Signora
amava accendere candele in ogni stanza. Le pareti si animavano d’ombre e
scendeva un silenzio denso, religioso. La luce riscaldava l’interno, come se
dopo tutta l’attività fuori bisognasse risolversi a tornare dentro, a
raccogliersi. Ma io avevo paura del fuoco. Una volta la minaccia ha preso vita,
il fuoco è stato scaltro, vorace e io ho temuto davvero che stesse per divorare
tutto. A volte la Signora dimenticava quale forza possegga una fiamma.
Qualcosa è successo ad un certo punto. Devono essere
cambiate le condizioni, perché da una certa epoca in poi la Signora ha
cominciato a comportarsi stranamente, a parlare con degli individui che
venivano di giorno, e una domenica dopo la messa è tornata e non era la stessa
persona, ha cominciato ad aprire i bauli, a spostare le cose, a sistemare
alcuni oggetti in un angolo.
Da allora qui attorno tutto ha preso un altro corso.
Se ne sono andati.
All’inizio credevo che sarebbero stati via qualche
tempo. Le candele attendevano ritte nei candelabri e le tendine residue erano
inattive e incredule, appese fra dentro e fuori. Dopo un certo tempo ho
cominciato ad accorgermi degli odori. Senza nuovi passaggi di persone, animali
e pietanze, potevo concentrarmi sugli odori permanenti, sulla memoria delle
ceneri nel camino, dei sughi sulla stufa, della polvere sulla cornice dei
quadri. Anche adesso se mi concentro sui cuscini, ne avverto la memoria acre,
pungente, e insieme dolce, di nuca e di lacrime. In quei tempi di solitudine, mi
pareva persino che le marmellate nei vasetti rilasciassero un’allegra fragranza
di fragole. Sarà perché nei giorni di preparazione, la Signora cantava sempre. Il
legno ne ha uno lungo, vivo: è l’odore più solido e protettivo, e si irradia
dalle assi del pavimento. Era una splendida quercia e vive ancora in questa
forma. I muri invece sono fragili. Deve essere per via dell’intima essenza
porosa. Si fanno attraversare dai vapori e dal freddo e ne prendono
l’incostanza.
Ho atteso per molte stagioni che venisse qualcuno da
accogliere.
Nessuno è tornato, da lunghissimo tempo nessuno è più
venuto. Un giorno hanno cambiato la serratura, hanno finito il lavoro fuori e
sono andati. Non si sono preoccupati di venire a vedermi.
Poi non è successo più niente. Il freddo si accostava
ai muri, penetrava dal suolo capillarmente. La stagione del raccolto volgeva al
termine, ma nessuno aveva più seminato. I campi restavano sterili delle patate
che una volta avevano custodito. Ogni
tanto si avvicinava una famiglia di ricci. Sono bestiole delicatissime,
giocose. Hanno molti nemici e i piccoli devono apprendere ad essere guardinghi,
ma la loro natura è pacifica, estroversa. Sono stati disegnati con un sorriso
che permane nonostante la fragilità della loro esistenza. Questa
famigliola di ricci veniva con le prime luci, attraversava con rapido passo il
campo abbandonato raccogliendo la rugiada e l’innocenza precoce della terra.
Non so bene cosa cercassero. Poi non sono più venuti.
Solo gli uccelli continuano a farsi vedere, ogni
stagione diversi stormi, a ogni ora diversi esemplari. So perché vengono.
Qui tutto è cambiato. Il silenzio ha preso il posto
delle voci. La terra si è fermata, riposa pigramente. Da là dentro vengono
fuori radici, erbe, germogli, ma hanno un tono differente. Un tempo gli alberi
di fronte erano carichi di pere. Ne avvertivo la gialla melodia.
La Signora aveva un luogo preferito. Era una parte
lasciata incolta: lì si intrecciavano rovi, denti di leone e fronti di ortica;
insetti minuscoli li sorvolavano inebriati (tanto minuscoli che solo con
un’estrema concentrazione riconoscevo in quella manifestazione frenetica un
capo, un torace, un addome, ali, zampe, bocca e antenne, un apparato digerente,
nervoso, circolatorio, respiratorio, secretore, escretore, riproduttivo, dunque
esofago e ovario e ano e tutto il resto, anche il cuore, e i desideri vitali).
Il disordine di questo luogo era consolatorio: le declinazioni del verde, le
forme diversificate, le stratificazioni, gli intrecci e le ramificazioni
regnavano di diritto secondo propri comandamenti. La Signora vi si recava
spesso, portando talvolta un biglietto ripiegato.
Ora ogni luogo è incolto e desolato.
L’inverno è una lunga prova. Ci sono volte in cui la
pioggia cade per tutta la notte, rimbalza nelle pozzanghere, si sfoga in rivoli
e impregna la terra. Ne sento gli effetti in ogni fibra per giorni. Il gelo
assottiglia i vetri, li indurisce, li tende sino al punto in cui paiono
sbriciolarsi. Nessuno viene ad accendere il fuoco, nessuno viene a vedermi e io
sto diventando vecchia. Sento le pietre che sono qui dall’inizio della
creazione, la loro umidità ascendente, avverto le ragnatele sulle travature, il
passaggio d’aria nel camino, e il vuoto del tempo senza voci.
2
Oggi sono venuti. Era una Signora nuova con affianco
un Signore.
Ho sentito i passi dal fondo della strada, il
movimento dell’erba, i rumori dei corpi. Si sono avvicinati, le voci sono
penetrate nei muri esterni, sono risuonate nel grande vuoto di questi anni
d’attesa. Hanno manovrato con la serratura, forzando un po’. Poi il portone si
è aperto cantando, è entrata un’aria meravigliosa di crochi e ranuncoli, una
vibrazione luminosa e dolce! La Signora nuova aveva una voce incantata,
entrando in casa ha aumentato la sveltezza dei passi, la quercia delle assi
sotto il suo peso ha sbadigliato, si è stirata, e tutti i muri sono rimasti in
attesa. Un movimento d’aria improvviso ha attraversato la stanza centrale. La
Signora si è girata più volte su se stessa, come una bambola, ma quando ha
visto le due grandi finestre crociate che guardano il giardino si è fermata. Il
Signore si è avvicinato alle vetrate e ha aperto le ante. Il telaio ha cigolato
sommessamente e poi è accaduto che ogni pietra, ogni asse, ogni quadro, ogni
bicchiere nella credenza si è orientato a quel fatto nuovo, l’ingresso inatteso
di un vento sabbioso e mite. La Signora si è affacciata e ha misurato con lo
sguardo il campo attorno, ma poi è rimasta alla finestra in un modo diverso,
con le braccia sul telaio come a immaginare il risveglio di un mattino futuro.
Anche la mia prima Signora faceva così.
Il Signore ha percorso la stanza centrale e si è
spinto nella seconda sala, ha aperto il ripostiglio degli attrezzi, ha provato
la serratura dell’accesso al giardino, che è bloccata, ed è salito per le scale
dispiegando sotto gli scarponi una polifonia di crepitii e gemiti.
La Signora è rimasta a lungo alla finestra, poi gli è
andata dietro misurando i passi. In una delle due camere con i grossi letti in
legno hanno parlato sommessamente. Sembravano a disagio, la voce doveva tornare
indietro in un modo inaspettato. Poi sono scesi, hanno chiuso la finestra e si
sono avviati verso il portone. La Signora si è fermata sulla soglia. Guardando
lentamente verso l’interno ha appoggiato una mano sulle pietre: un breve
contatto, un sigillo.
Lungo la strada si sono baciati.
Poi per giorni e giorni non sono più tornati.
2016
La Signora è molto agitata. Oggi arrivano gli ospiti.
Sono mesi che vengono preparate le stanze, ordinati
mobili, confezionate marmellate, predisposti gli attrezzi nella ex stalla. Il
Signore è molto abile in simili lavori: ha lasciato tutto com’era, ma i colori
nelle stanze sono diversi, e l’acqua che scorre sotto la sabbia non trova più
la strada verso i muri. Ha sistemato anche dei rubinetti esterni, un campo da
coltivare, aiuole con erbe aromatiche, e due asini.
La Signora si muove dentro e fuori come una fata,
appende quadri, sistema i fiori, e di tanto in tanto si ferma a guardare il
vecchio pianoforte che è tornato in vita. Il grosso cane la segue dappertutto
con un gran fiato.
Oggi arrivano i bambini.
Non potevo immaginare che sarei diventata un centro di
guarigione per bambini, e che io stessa sarei guarita da così tanto abbandono.
La Signora si gira spesso a guardarmi, e appoggia una
mano sulle pietre, come la prima volta. Adesso non penso più così tanto alla
mia vecchia Signora. Sento avvicinarsi i bambini, e le rondini stanno tornando.
Io sono la casa.
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