sabato 20 novembre 2010

Intervista a Dafne Perticarini

DA RAGAZZA-LIDL A TESTAROSSA 
di Cinzia Colazzo

Dafne, hai 20 parole per dirci qualcosa di te.
- Ho un gran naso, che mi ha costretta a capire e accettare una cosa fondamentale di me stessa: non sono una persona che può permettersi di stare in seconda fila, passando inosservata (dodici di troppo, sorry)

A chi devi questo nome? Ti si addice abbastanza?
- A mio padre, che ama la storia antica, e la mitologia ad essa legata. Per molto tempo non l’ho accettato. Poi, quando sono approdata al mondo che sento mio, quello della musica, e ho visto che molti erano costretti ad inventarsi un nome graffiante, mi sono accorta di esserne già provvista.

A che punto sei della tua vita? Hai compiuto 30 anni...
- Alla svolta: il cambio di lavoro. Lavoro, che intendo come realizzazione del proprio essere e palestra costante per le proprie capacità, non come mero mezzo di sostentamento.

Raccontaci un’esperienza all’estero particolarmente significativa.
- USA 2008: il primo viaggio da sola, all’estero, con poco inglese, imparato da me. È stata una tappa fondamentale della mia crescita, che mi ha fatto conoscere la città dove spero capiterò spesso in futuro: San Francisco. Al momento sto cercando di creare una rete per esportare lì i prodotti della mia Regione, le Marche.


Confessa un vizio che ti porti dietro da quando eri bambina...
- Allacciare le scarpe con il doppio nodo, sempre.

… e una paura che ti porti dietro dall’infanzia.
- Del buio. Comincio ad affrontarlo: spesso lo cerco; ma nei momenti di debolezza lo rifuggo.

La bambina che eri ha realizzato i suoi sogni?
- Non aveva sogni quella bambina. La ragazza di 24 anni che ero li sta realizzando.

Secondo te quale messaggio alle bambine si nasconde nella fiaba di Pollicina?
- Io conosco quella di Pollicino, non so se è la stessa. Se sì, il messaggio è chiaro: non fidatevi dei vostri genitori, perché sono degli adulti qualunque, e non appendici vostre.

Che lavoro fai attualmente?
- Per ancora due settimane, lavoro al Lidl. Mi sono licenziata! Di solito ci metto molto a prendere una decisione. Comunque quando la prendo, è sempre il momento giusto. Forse stavolta avrei dovuto aspettare di avere in mano qualcosa di concreto… ma non ho paura.

Esiste una tipica ragazza Lidl?
- Sì, anche se, per fortuna, le persone che lavorano con me non rispettano questo stereotipo. La lavoratrice tipo è affascinata dalla grandezza della multinazionale, abituata com’è alle piccole realtà della nostra regione, spesso a conduzione familiare. Questo la porta a sviluppare una forte fedeltà all’azienda, a lamentarsi spesso, ma confusamente, senza far valere i propri diritti. È ignorante, non tanto per la carenza della sua istruzione, ma per come sente e legge la quotidianità che vive. Grande lavoratrice.

Come ci sei finita al Lidl?
- Per necessità: convivo dal 2001. Ho sempre accettato i lavori che sono venuti, anche se poi a casa mi veniva da piangere per l’umiliazione e la stanchezza: mi dicevo che dovevo fare qualcosa che mi piacesse. Ma soprattutto piangevo per rabbia: non meritavo quella vita! Al Lidl in particolare mi fa male l’ottusità di molta gente che viene a farci la spesa… 

A parte licenziarsi, esistono altri modi per dire no al senso di umiliazione?
- Sì, e lo sto sperimentando: comunicare ad altri la mia esperienza per capirla meglio, ad esempio scrivendone. Penso inoltre che si debba trovare il modo di educare il cliente: spesso sento attorno a me un’atmosfera da far west

Se ti venisse fornito il numero di cellulare del Ministro del Lavoro, quale sms gli manderesti?
- Potrei dire molte cose, ma risulterebbero tutte grandi banalità petulanti. Non penso che bisogna essere dei braccianti per sviluppare dell’empatia rispetto alle esigenze dei lavoratori. Non cercherei comunque un dialogo con chi, facendo parte di un sistema corrotto e autoreferenziale, non ha nessun desiderio di averlo.

Ai politici e ai sociologi che definiscono i trentenni “bamboccioni” cosa rispondi?
- Io non vivo con i miei e mi mantengo da quando avevo diciotto anni. La mia generazione, in larga parte, mi mette in imbarazzo.

Qual è il peggior male dell’Italia?
- La tendenza a lamentarsi, senza agire, credendo che prima di ogni cambiamento sia necessario un lungo periodo di preparazione. L’ammirare l’applicazione delle regole quando si sta all’estero, mantenendo un atteggiamento mafioso in patria, dove ogni regolamento va aggirato, anche se si tratta di fare la fila allo sportello delle Poste. Il vivere ancora di rendita, vagheggiando un glorioso passato, che sia remoto o prossimo, senza fare nulla per cambiare il presente.
Io non mi sono mai sentita italiana negli atteggiamenti, ma solo per nascita, e questo mi è sempre stato fatto duramente notare.

Secondo te la nostalgia è una brutta idea?

- Lo vedrò, credo, come un periodo critico ma di grandi occasioni, in cui la presa di coscienza su tanti temi si è allargata ad un pubblico più vasto. Dove cattolici parlano ad alta voce di preti pedofili e il consulente della tua banca può accennare al documentario Zeitgeist che parla della truffa dietro al denaro. Sperando che sia il momento storico in cui abbiamo toccato il fondo, per risalire di nuovo.

Ritorno dal futuro: cosa penserai fra vent’anni guardando indietro a questo periodo?

- È una trappola che ti allontana dal vivere il momento presente. Come altre dipendenze, è un mezzo per non affrontare la vita, se ricorre costantemente.

È più vizioso chi spera o chi dispera?
- Chi dispera, perché usa questa conclusione per sostare nelle proprie debolezze.

Dai un colore ai tuoi 16 anni.
-Il blu scuro, che indossavo spesso.

Dai un colore al momento attuale.
-Il rosso dei miei capelli, come consapevolezza profonda di me stessa.

Dai un colore ai tuoi prossimi 10 anni.
- L’azzurro dell’Oceano Pacifico.

Cosa pensi dell’amore?
- Che se ne parla troppo. Io lo vivo e non ne parlo. Farlo è come discutere di responsabilità e bollette con degli adolescenti: spesso frustrante.

Qual è la domanda che un intervistatore dovrebbe assolutamente farti?
- Sei felice? Sì. Perché? Perché sono qui, o lì, è uguale.

In quale film vorresti vivere?
- Più che altro nei video musicali, per vivere le varie fasi del rock.

L’errore più grande commesso dai tuoi genitori.…
- Come accade a molti, di vivere senza consapevolezza, e, nonostante averne pagato le conseguenze sulla pelle, continuare a farlo, senza mai prendere coscienza di sé, dei propri errori e demoni. In due parole: senza crescere.

Cosa fai quando la vita è più dura?
- Ci sono. Arrabbiata, folle, insofferente sempre, ma lucida.

Cosa pensi quando ti svegli?

- Mi chiedo se devo andare al lavoro o se è domenica. Spesso resto qualche secondo senza capire che giorno sia.

Cosa pensi quando vai a letto?
- Di tutto. Ho difficoltà a spegnere il cervello e addormentarmi.

Preghi o imprechi?
- Una volta pregavo, fino a quando non ho capito che è un gesto vigliacco e umiliante. Ora impreco solo, ma sto cercando di smettere!

Cosa pensi del tuo corpo?
- Ci sto facendo la pace, anche se ci sono quei tre difetti precisi che mi danno ancora la convinzione di non poter fare ciò che voglio. Poi interviene il buon senso, mi ricorda che le rughe stanno arrivando e non posso più indugiare in queste paranoie.
  
In tempo di pace, quale pensi sia la battaglia quotidiana?
- Far sì che sia io, sia chi mi sta vicino, mettiamo in pratica ciò che ci proponiamo, e siamo onesti con la nostra natura. Poi la comunicazione chiara e schietta: è una scelta che molti scansano, e porla come condizione comporta sempre una lotta.

Finiamo in sintesi. Dimmi tre parole.
- Red Head Ideas: il nome della mia agenzia di comunicazione. Racchiude tutto ciò che sono e ciò che farò.

Grazie.
- Grazie a te J

domenica 14 novembre 2010

Italia / Germania (maternità)

In Germania mi era stato chiesto se volessi portare i miei figli piccoli sul posto di lavoro (lavoravo allora come traduttrice).

Quando è nata la mia secondogenita, l'ostetrica berlinese che mi assisteva a casa mi ha insegnato a lavarla solo con acqua per le prime settimane. Nella clinica leccese dove è nato il mio primogenito, invece, lavavano la testa ai neonati ogni giorno sin dal primo giorno, oltretutto con lo shampoo Chicco (per niente delicato).

Una buona madre ha innanzitutto una buona educazione alimentare, e sa che indice di progresso è la rinuncia a molti veleni inutili e a cibo mediocre che ottiene riconoscimento solo in virtù delle leggi del marketing. Una buona madre cominica con un buon periodo di allattamento, lungo e tenerissimo.

Una buona madre è anche in parte un buon padre.

Italia / Germania (Stato)

In Germania LO STATO C'È.

Italia / Germania (atteggiamento pedagogico)

Una differenza fondamentale tra Germania e Italia (fra Europa del Nord ed Europa del Sud) sta nell'atteggiamento pedagogico. In generale, per un tedesco di media cultura è chiaro che l'esempio vale più di mille parole. La coerenza è un orizzonte che guida l'azione.
Inoltre, l'atteggiamento pedagogico nella società tedesca è trasversale: non interessa solo la più giovane generazione. Per strada capita spesso di essere fermati da un perfetto sconosciuto che ritiene fondamentale farvi conoscere la sua opinione in merito ad una vostra azione (se avete attraversato fuori delle strisce con un bambino, per esempio; se avete parcheggiato occupando un poco lo spazio per un'altra auto - anche se il passante non ha alcun interesse personale in quel posto) e persino in maniera preventiva (ad esempio se state fumando una sigaretta potrebbe venire qualcuno a ricordarvi di non buttare la cicca per terra).
Se siete straniero in Germania e soffrite di manie di persecuzione, all'inizio potreste sviluppare l'idea che tutti vi stiano guardando, controllandovi e giudicandovi come straniero ineducato.
Ho visto spesso scene di questo genere: mamme turche alla fermata della metropolitana che parlano in turco con i propri figli, ma che ricorrono subito ad un durissimo tedesco se il figlio fa qualcosa che non va (perché gli altri sappiano che lei lo sta riprendendo, che, pur essendo straniera, lo sa educare secondo le regole).

Nel rapporto educativo sono molto differenti le distanze.
In Italia e in Turchia (parlo spesso di turchi perché a Neukölln, quartiere meridionale di Berlino, essi costituiscono una comunità vastissima; ma in realtà descrivo approssimativamente un variegato panorama composto di turchi, curdi e arabi), i genitori allungano la voce sino ai bambini per richiamarli, cioè, in pratica, gridano. L'adulto tedesco, invece, si avvicina al bambino, si piega per mettere lo sguardo alla stessa altezza e spiega le motivazioni del proprio disappunto.
C'è un'altra dimensione della distanza: in Germania i bambini non si toccano. Ho visto molto spesso in Italia maestre d'asilo o di scuola prendere per un braccio i bambini e spostarli, dislocandoli quasi di peso o addirittura strattonandoli. Questo in Germania non si può fare, neppure gentilmente.

Italia / Germania (silenzio)

Mi hanno chiesto quale sia in sintesi la differenza fra Italia e Germania. Difficile indicarne una: e del resto il popolo medio è piccolo ovunque.
Mi verrebbe però da dire che una differenza fondamentale sta nel silenzio. In Italia si è definitivamente rumorosi: lo sono le radio, le tv, i bambini, i telefonini, i discorsi, i treni, e in modo irritante, spesso insostenibile. Per questo ritengo che la mia qualità sia l'essere silenziosa.
Il grado di civiltà di una società può essere correlato al livello di educazione durante i dibattiti pubblici. I francesi e gli italiani sono avvezzi ad interrompersi, a parlare uno sull'altro; non i tedeschi.
Certo, anche il silenzio parla. E il silenzio severo di alcuni sguardi o ghigni teutonici può essere carico (anche di vecchie memorie irrisolte), agghiacciante come l'inverno prussiano.

Civiltà evolute

Il grado di civiltà di una società corrisponde alla disponibilità a rinunciare al consumo. La società tedesca è molto più oculata nell'acquisto e resistente allo sperpero, più modesta nel consumare-per-dimostrare rispetto a quella italiana.

I miei genitori si inquietano perché non compro vestiti nuovi, accetto quelli dismessi di mia sorella, non riempio il frigo, non ho grossi armadi e grosse dispense; compro cappotti di seconda mano per i miei figli, m'oppongo all'attuale spropositato consumo di carne e di latticini; vado in giro con un cellulare rotto.

Consumo però moltissima cultura e spendo per sostenere la mia mobilità (treni, mezzi pubblici, benzina, telefonia mobile). Di certo anche in questo c'è compulsività.

venerdì 12 novembre 2010

Amando senza certezza del rimando

In questo modo amo:
come inventando
l'albero del miele.

* * *

Se amarti è
come cogliere ciliegie
perdersi nelle ioniche pinete
quando a notte il mare
chiude le conchiglie,
tu capisci, bene mio,
che un sol punto di materia
può creare le galassie
e gli alberi del pane
e i rubini sotterranei
s'ogni fibra minerale
della bocca mia e tua
in un bacio fa la sintesi
del mondo.

Dedicate a me

"Tu sei Nettuno"
"Tu sei il numero 1000"

Iacopo, 6 anni

Perle in bocca

Usare sempre le stesse parole con le stesse funzioni comunicative è come mangiare insalata pre-lavata e mais in scatola. Riempiamoci la bocca di creatività!

Un cicchetto al giorno di poesia!

Pensieri di San Martino

Pompei : Italia = elettrogramma piatto : coma

Rai radio 3 : Italia = fiore di De André : letame




Vacillando in zona depressione, è difficile appoggiarsi sulla semplice esistenza, come un palloncino che in virtù dell'aria ha la sua essenza.


L'errore più grande è entrare nel film degli altri. La cosa più difficile è uscire dal proprio film.

giovedì 11 novembre 2010

Buenos Aires

[...]
questa città che io reputai il mio passato,
è l'avvenire mio, il mio presente;
gli anni da me vissuti in Europa sono illusori,
io sono sempre stato (e starò) a Buenos Aires.

Jorge Luis Borges

mercoledì 10 novembre 2010

Il rione

Ma senza rumore e di continuo,
in cose incomunicate, perdute, come sono sempre le cose,
nel gommista col suo striato cielo d'ombra,
nel bacile che raccoglie il primo sole e l'ultimo,
perdura quel fatto servizievole e fraterno,
quella arcana lealtà che la mia parola sta divulgando:
il rione.

Jorge Luis Borges (frammento di Rione Nord)

Borges

Qué importa el tiempo sucesivo si en él
hubo una plenitud, un éxtasis, una tarde.

Cosa importa il tempo che si è susseguito, se in lui
albergò una pienezza, una estasi, una sera.



¡ Qué bien se ve la tarde
desde el fácil sosiego de los bancos!

Come si contempla bene la sera
dal comodo ristoro delle panchine!



La llanura es un dolor probrísimo que persiste.
[...]
¡  Que cansados de perdurar están estos campos! 
La pianura è un dolore elementarissimo e che non ha tregua.
[...]
Son così stanche di perdurare queste zolle!


Como quien vuelve de una pradería yo volví de tu abrazo.
Come chi torni da una prateria tornavo io dal tuo abbraccio.

Jorge Luis Borges (trad. di U. Cianciòlo)

martedì 9 novembre 2010

Quando si torna dove si nasce

Ritorno a questa via, dove son nato
come una luce alla sua stella esplosa.
È questo il mio viaggio, questi
portoni, i due scalini di lavagna, le
facciate alte, scrostrate, con le finestre
cieche, la salita, l'arco che segnava
il confine, giù la mia casa
che aveva la veranda sul cortile di
muschio e rovi attorno a un pozzo, e
il terrazzino azzurro, il pergolato
in bilico sopra gli orti dei nespoli.
Dietro quelle persiane, al terzo piano,
ci fu l'amore, c'era la guerra fuori
i soldati tedeschi ormai allo stremo, in
fuga. Il destino è tornare dove si è nati.
Lo sanno tutti i fiori, i templi, i soli
che sono come noi ancora da alzare
non profetati, e già polvere.

(Genova-Porto Maurizio, 28.IX.1980)

Giuseppe Conte

lunedì 8 novembre 2010

Carta della Terra

Amare la Terra è cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza.
«Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch'io, vuol dire che lo sa rifare
altrimenti lo avrebbe già fatto prima»

(Bruno Munari)