mercoledì 21 agosto 2013

Il momento


Il momento è forte e ci prenderemo il tempo necessario. Come per me, anche per i bambini è il risveglio lo stato in cui pungente emerge un senso di distacco e di vuoto, un'incredulità. Nel corso della giornata poi le tante cose da fare e la vasta vita attorno rendono più sensata l'esperienza. Sto bene; la vita berlinese, specialmente in questo quartiere, ha uno stile unico, rilucente in costellazioni di trentenni e quarantenni sicuri e forti sulle loro biciclette e nei tanti bar e atelier, di bambini che esprimono libertà fisica e di movimento. Tutto è grande e assume svariate forme individuali. Mia figlia è molto eccitata e ben disposta, pare provare un gran sollievo nell'essere tornata, perché ancora non si rende conto e presto accadrà. Oggi si è fatta dipingere la bandiera tedesca sul braccio. Mio figlio è immerso in una sgomenta malinconia che per ora lo blocca nella ricerca di una soluzione per tornare indietro. Anche lui si sta prendendo tempo. Durante il viaggio batteva i pugni contro i finestrini chiedendo di poter scendere, dichiarando di voler tornare a Firenze anche a piedi. Ho assistito a una telefonata straziante fra lui e il suo amico di scuola, mio figlio piangeva affranto dichiarandosi in un incubo da cui voleva uscire, il suo compagno cercava di consolarlo con una retorica adulta; ho pianto moltissimo anch'io abbracciando il mio tenero bambino, così fragilmente fedele a ciò che si guadagna il suo amore. La nostra tristezza era di ugual natura. Noi abbiamo ugualmente amato Firenze, anche se era un vasto campo di frustrazione per entrambi. Ancora oggi mio figlio salendo per le scale ha detto "Voglio tornare nella mia casa, la mia casa è a Firenze". Parla della "sua bellissima casa", del suo migliore amico che ha "abbandonato e lasciato solo", dei nonni e delle zie. Io ho detto "La nostra casa profumava di focaccia" - la fragranza si infilava dal forno direttamente nella nostra casa attraverso le scale e i muri innalzandosi alla vista su Fiesole - e sul loro viso ho visto dipingersi un dolore.
Il momento è molto forte e forse nessuno di noi tre lo comprende.

Le prime tre giornate sono trascorse fra l'entusiasmo di ritrovare un certo pane, un certo sciroppo, un certo parco, la biondissima amichetta Marta, gli appartamenti con i Dielen che gemono sotto i piedi, le case di Kreuzberg, le capre placide nei parchi cittadini, e il riaffiorare di una mancanza di significato profondo, di un'aria che sia casa.
Ci vuole tempo.

Non ho ancora iscritto i bambini a scuola, non li mando subito, mi hanno chiesto di potersi prima ambientare, hanno molta paura per via della lingua. Oggi hanno ricucito la memoria con alcuni luoghi, mio figlio si è rotolato giù dalle collinette del Viktoriapark come faceva da bambino sulla neve, e pareva beato, come se contemplasse un’emozione piccola e nascosta, una fiammella. Entrambi hanno cominciato a rispondere “ja” e “nein” alla mia amica tedesca; soprattutto la bambina sfoggiava un precoce orgoglio. So già in quale momento e in quale occasione ritroveranno familiarità con la lingua, e cominceranno a escludermi dalle loro conversazioni e si trasformeranno sotto i miei occhi, e non riconosceranno me e la mia idea di architettare per loro un’aura assolata e mite di bambini italiani, verdoline radici di mandorletti bianchi fioriti.

Mi sento molto lontana e sento la mia famiglia come separata, non riesco più a provare un’emozione prossima per mia gemella incinta, e per lo stato di mio padre, che ho lasciato affaticato nel fisico e nel morale, per mia madre, che non poteva credere che io me ne andassi di nuovo, di punto in bianco, e per mia sorella grande, che ha i nipotini che le crescono lontani. Spero che questa interruzione di trasmissioni emotive sia un banale anestetico che svanirà fra qualche settimana.

Non c’è conclusione a questa narrazione. Ci vuole tempo.