domenica 18 maggio 2014

LA BAIA

Sino a quando potrò stare qui nella baia sotto la luna radioelettrica senza disintegrarmi in  particelle gassose di buio primordiale?

Il fianco della montagna respira insieme agli animali predatori, manifestandosi dal buio all’ultimo momento. Non è il suo cuore che percepisci, ma involontari cedimenti nella tenuta, una fonte che suda, un sasso che si stacca. E la montagna intera è ben oltre la capacità dei sensi, molto più grande e dolorosa, indifferente nella sua abitudine ai millenni.

D’improvviso una civetta lancia un grido misterioso; lo perde fra i rami, lo ripete; lo frantuma contro la montagna.

È freddo, ma il corpo non sente aggressioni; solo il liquido lunare fa paura, quando l’acqua si ferma. Allora lo splendore stridulo diventa orribile. Pure la montagna trattiene il fiato.

C’è una presenza con me di vedetta.

Non sai da quanto tempo noi siamo qui, a cercare di dimenticare.

Chiedilo alla civetta.


Presso la luna il senso d’inquietudine cresce come una marea, ma dietro c’è solo buio. Non sappiamo dove andare, e il buio non finirà.

La luna, vedi, questa luna è orribile. È un’altra luna.

C’è stato un fruscio. L’ho avvertito nettamente, anche se era lì dietro e non potevo guardare. Ce ne sono altri, oltre noi.

L’acqua è un essere attivo. Sta montando le mie memorie con una lucida intelligenza. Le onde si appiattiscono, man mano che i ricordi vengono dimenticati. La montagna respira affianco.

Ora non fa più male. Io ho quasi dimenticato tutto e forse il trattamento è finito. Vorrei dirti di stare dove sei il più a lungo che puoi.

Da quanto tempo aspettiamo? Il tempo è la struttura più dura da sradicare. Forse è per questo che ancora non vengono. Fisso l’orizzonte, non ho altro da fare ed è l’unica cosa che conta. Quello che ci sta facendo quell’occhio fisso, petroso e stridulo è terribile. È tutto così indifferente. Gli altri sono solo presenze. Siamo qui nella baia e non possiamo intenderci in alcun modo.

Questa però non è calma. Non è neanche tristezza. Non è notte perché non c’è stanchezza. Non è sogno perché non c’è sonno. Non è natura perché non ha radici. È solo il trattamento.

Chi fossi dall’altra parte non lo so più e per loro non ha più importanza. Per me naturalmente sì, l’aveva. Ma adesso c’è tutto questo buio e dovrebbe fare freddo qui nella baia, ma non si può sentire niente.

Ognuno qui ha una presenza affianco. Si sentono degli zoccoli schiantarsi nell’emisfero della baia, dei gorgoglii rapaci.
  
Il trattamento deve aver avuto dei buchi perché improvvisamente ho ricordato qualcosa e ho sentito una fitta molto forte e un dolore. Ho ricordato i colori. Dall’altra parte c’erano tutti quei colori, tutte quelle vibrazioni sovrabbondanti.

Lui era sempre accanto a me e quando ho cominciato a ricordare queste cose ha mosso un po’ la testa, che aveva sempre tenuta fissa verso l’orizzonte. Laggiù c’erano tutti quei drammi.

Laggiù c’era l’amore.

Quando ho detto nella mia mente questa frase, come se fosse un altro a parlare, ho chinato il capo sconfitto. Ho ricordato un momento in cui andando incontro a una persona che mi sorrideva, ho sentito riverberare un forte calore come un bagliore dolce. Stendevamo le braccia orientando le mani, come se fossero antenne per sentire. Ogni cosa amavo di questo essere, la forma che le molecole avevano preso partecipando al suo insieme, il modo in cui i muscoli della bocca contribuivano ad espanderne il sorriso, e le mani giovani del neonato che s’era fatto uomo. Non c’è confine fra un amore e il costante pericolo di morte. Adesso so che eravamo chiamati per il dramma, e che era una grande scena.

Tutto quel tendere, e sperimentare, quell’accendere e quel partecipare, era questo che volevano. L’umanità. La guerra che non ha compreso la perdita. Bastava ricordarsi dei colori.

S’è fatto uomo per patire sulla terra delle passioni.

Vorrei dirti di stare dove sei, perché non avrai molte altre occasioni. Il tuo dramma è il colore che ti è stato assegnato.

Ed è il più bello per te.

Qui non c’è rumore, perché nessuno chiama i compagni. Nessuno mi chiamerà, nessuno si muoverà per cercarmi.

Laggiù c’era la compassione.

Sai immaginare una notte senza temperatura? Un freddo senza sofferenza? L’altrove è molteplice, ma ovunque non potrai trovare il sole.


Sono arrivati dallorizzonte scivolando sul liquido lunare. Le barche erano strette e lunghe, e loro sottili e senza volto. Quando arrivano non c’è tempo per pensare, è l’ora.

Come senza peso sulla barca è salita anche la guida che aveva vegliato con me sull’orizzonte, un cavallo bianchissimo rilucente.

Per un attimo che non aveva tempo un vortice di panico mi ha risucchiato. Ho un’altra occasione sulla Terra, un’altra vita da patire. Ma nell’aldilà non potrò ricordare questa lastra liquida dove si viene portati infine, la baia dell’attesa. Laggiù tutto è dimenticanza, abbaglio del sole, abbondanza.


3 aprile 2014
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