- La soglia della povertà, la conosco bene: è uno stato che, se dura poco, può insegnare molto. Ma a lungo andare intristisce. Non ci si può muovere. Non si guardano più le vetrine, né i manufatti dell'uomo, perché non li si può acquistare, e così piano piano anche i vini, i pasticcini in vetrina, gli itinerari di viaggio, le calze di moda, le scarpe in saldo, le locandine del cinema, i libri in promozione, Wagner finalmente al teatro lirico... Si diventa indifferenti a tutto. Ci si indurisce, la giornata diventa senza consolazioni. Si deve restare in casa per non spendere: anche il biglietto della metropolitana diventa una voce di spesa insostenibile. Non si compra più il giornale, non si va alle mostre e naturalmente neanche in pizzeria, si aspetta che qualcuno si accorga dell'indigenza non manifesta e faccia un invito, un regalo. Se si hanno degli spiccioli si compra qualcosa ai bambini, perché loro abbiano ancora un senso di possibilità, di non privazione.
Ecco cosa è la povertà di una trentenne: io l'ho conosciuta quest'anno in Italia.
Se almeno mi trovassi in un posto bello, se almeno la natura mi potesse consolare, con i colori e i profumi; se almeno gli amici fossero più vicini e con loro potessi condividere una spaghettata serale: mi sentirei comunque ricca.