giovedì 2 dicembre 2010

Dafne Perticarini intervista Cinzia

Fonte: http://redheadideas.blogspot.com/2010/12/intervista-come-superamento-del-social.html

Da una email:
Intravvedere una persona da piccole fessure, spaccature sul suo vissuto è un'esperienza emozionante e misteriosa.
Io ho avuto sempre la passione di intrufolarmi nei posti abbandonati, con dietro il mio compagno che mi tira per la manica.
Quando vedo una casa abbandonata, incustodita, mi scatta qualcosa in testa, e non riesco a fermarmi. È da anni che cerco qualcuno che faccia esplorazione urbana dalle mie parti.
Ecco: tu mi hai dato gli stessi brividi di trovare una casa sconosciuta, e ancora arredata, con qua e là oggetti di uso quotidiano, che aprono un mondo su abutidini e usi di chi ci viveva.
Dafne

Intervista come superamento del social network

PREMESSA:
Lei ha intervistato me, io lei. Ci siamo viste una sola volta ad Ancona.
Domande per Cinzia:

1- Descrivici il tuo ora.
Al computer, rispondendo alle tue domande.

2- Cosa vuol dire, per te, essere un’italiana all’estero?
Non sono più un’italiana all’estero e non sono ancora un’italiana rientrata. In generale, quando si va via per qualche anno, si diventa sensibili al terreno, si sta scomodi ovunque: le radici sono affare delicato. Devo dire però che verso certi difetti dell’Italia sono diventata più tollerante, perché ora nel bilancio pesa molto una grande dote del nostro stile di comunicazione che è la simpatia umana: mi riferisco a quelle quotidiane micro-conversazioni, quegli scambi fugaci ma luminosi (dal giornalaio, con la barista) che salvano la giornata.

3- Come veniamo percepiti oggi?
Il governo attuale ci ha fatto diventare una barzelletta. In Germania adorano lo stile italiano, ma non riescono a capire perché ci siamo dotati volontariamente di una persona così imbarazzante.

4- Cosa ti manca di Berlino?
Mi mancano sicuramente i miei amici. E le sfide che la città mi ha lanciato: la lingua; la mentalità “verde”; l’atteggiamento pedagogico. Mi mancano le atmosfere: le candele, i boschi innevati, i canti infantili. Mi manca il Mauerpark, dove la domenica si andava per bancarelle vintage. Mi manca la birra del martedì con il mio compagno di corso-tandem. Mi mancano i cinema all’aperto nei parchi con le sedie a sdraio e le coperte di lana. I bar sulla Sprea. Le romantiche feste per bambini. Fare la spesa alle 23.50 e tornare con la metropolitana alle 3 di notte. La Philharmonie. Mi manca la frequentazione di certi temi, come il bilinguismo. Devo continuare?
Ma c’è una parte della cultura tedesca, una certa durezza, pesantezza, che mi inquieta. E la luce lì non è mai forte, gialla. Io sono profondamente italiana. Noi emigranti possiamo sempre solo essere ospiti. Si vive all’estero come spostati da un centro, fuori di sé. Almeno sinché non si decide fermamente: “Questo ora è il mio paese”.

5- Torneresti all’estero definitivamente?
Dipende da quale paese estero. E comunque avrei sempre bisogno di tornare per qualche periodo. Dipende dall’amore: se ci fosse una proposta fermissima... Dipende dal lavoro: se ci fosse la possibilità di diventare brava in un mestiere... Mi mancherebbe moltissimo la mia lingua. In Italia però trovo difficile poter adottare lo stile che si vuole: le spinte al conformarsi sono fortissime. Mi arrabbio con l’Italia che mi tiene a terra, mi fa tornare figlia: un motore da corsa tenuto in folle; mi arrabbio con l’Italia che mi fa essere una madre debole; e so che a Berlino avrei maggiori spazi per la conciliazione, modelli alternativi (le WG, ad esempio) ampiamente praticati. Il conflitto è grande, ma sai cosa ti dico? In tempo di rivoluzione culturale (e noi ci siamo in pieno, sono sicura), non conta “andare” o “restare”, ma trasformare se stessi.  [Ottima risposta, ndD]

6- Come vedevi l’Italia da fuori?
Non la vedevo più, per questo mi mancava. Per un italiano all’estero molta nostalgia si agglomera nei fattori-cliché: il cibo, il clima.

7- Come spiegheresti ad un uomo la maternità?
Domanda difficile! Dipende da che tipo di uomo è. Alcuni uomini hanno una prospettiva già genitoriale (per dirla alla Erikson): si preoccupano per le nuove generazioni. Altri sono molto concentrati su se stessi. Se per maternità intendi il periodo di gravidanza, non ci provo neanche a spiegarlo: e del resto alcune cose devono rimanere misteriose… Le donne in gravidanza sono spesso noiosissime, e hanno ragione perché il corpo assorbe ogni energia, anche mentale (diminuisce la memoria, ad esempio); ma trovo adeguate quelle donne che non rinunciano a ciò che facevano prima (sottolineo questo perché in alcuni contesti in Italia c’è una mentalità per cui le donne incinte sono considerate malate); e trovo tenerissimi gli uomini che adorano la donna gravida, sviluppando un senso di protezione verso il mistero che avviene nel corpo femminile. Mi dispiace sentire i discorsi di molte coppie che si preparano ad avere un figlio cercando di collocarlo in qualche spazio rimasto disponibile. Un figlio non vuole uno spazio nel quadro, ma una ristrutturazione generale della composizione! Questa ridefinizione è un momento fondamentale per la famiglia e molto spesso è la società stessa, che pur sembra gradire le nascite, ad impedire ai genitori di godersi l’arrivo del nuovo componente.

8- Quant’è importante la tua indipendenza?
Era fondamentale. Ora anche questo bisogno è stato messo in relazione alle situazioni: sono diventata molto flessibile. Ci sono periodi della vita in cui bisogna imparare l’autonomia; altri in cui siamo costretti a domare l’orgoglio. In generale, nessun principio può essere più forte della vita stessa!

9- Che tipo d’umorismo pensi d’avere?
Nessuno! Invidio chi ne è dotato: è una forma di intelligenza di livello superiore che richiede, fra l’altro, allenamento. [Soprattutto per calibrare i tempi comici, fondamentali, ndD]

10- Hai mai fatto lavori che consideravi umili?
No. Ho solo lavorato come cameriera in un ristorante italiano a Lille nei mesi di stage. Ho fatto piuttosto lavori “umilianti”, come certe volte è accompagnare cantanti lirici al pianoforte, quando questi si sentono vicini alla condizione di dei…

11- Cosa cerchi nel lavoro?
Sentirmi brava; sfide intellettuali; riconoscimento; passione che compensa gli sforzi; mantenimento della libertà personale (ho considerato una limitazione fortissima il fatto di non poter partecipare al matrimonio di un’amica fiorentina e al funerale di mio nonno, l’ultimo che mi era rimasto, perché dovevo lavorare!). Mi dà amarezza che tutto sia diventato “evento” e che la nostra generazione debba “inventarsi” lavori; è abnorme il peso dato oggi alla comunicazione e alla vendita. Al momento non capisco che cosa voglia da me la società. Credo che noi siamo una generazione-cerniera che avrà il suo valore nella resilienza: nel piegarsi senza spezzarsi. Dobbiamo smetterla di guardare indietro ai cartoni e alle canzoni anni ’80: avanti c’è molto da fare.

12- E nella coppia?
Cosa cerco nella coppia? Due persone che decidono di avere un certo sguardo uno per l’altra dovrebbero essere “alla pari” e avere la stessa idea di vita insieme e di futuro (compresa l’educazione dei figli). Per me sarebbe difficile vivere con una persona estremamente pessimista, con una persona che non tenesse alla vita sociale o che preferisse la televisione ad un concerto o una passeggiata fuori; che non amasse le spaghettate la sera tardi con gli amici; che non capisse il mio bisogno di natura e di avventura. In generale, è importante trovare una persona che ti “veda” per quello che sei, che non voglia che tu sia diversa o che ti adegui, che veda in te la bambina e come questa bambina può essere felice; che veda in te la donna e come questa donna può essere corteggiata. Il mio bisogno di libertà, di essere come sono, è così importante che alla fine ho scelto sempre uomini deboli, che per il loro individualismo non potevano tenere particolarmente a me: ma almeno non erano opprimenti. Ora che sono cresciuta vorrei trovare, semplicemente, un amore grande: il resto viene da sé, quando due persone sono mature e hanno deposto i complessi e le complicazioni.  [Acquario, vero?eheheh…, ndD]

13- Come vuoi che ti ricordino i tuoi figli, diciamo tra vent’anni?
Sorridente. Sognatrice ma presente. Forte. Disordinata! Per i miei figli io sono come sono, senza maschere. Dare l’esempio vuol dire mostrarsi per quello che si è monitorandosi in continuazione.

14- Cosa non dovrebbe mai fare un amico che si consideri tale per te?
Non lo so. Ho amici eccezionali: sono la bellezza risplendente della vita.

15- Ti ricordi una poesia che hai imparato nell’età scolare?
Versi sparsi. Gli incipit. La sensibilità verso la poesia è venuta con l’adolescenza. Con Genova e i suoi poeti.

16- E un gioco che facevi?
Campana. Tombola la vigilia di Natale. A carte con mio nonno. [Voto per a carte con nonno! Casa delle mie zie era una bisca clandestina per pensionate!!, ndD]

17- Come pensi che gli altri ti percepiscano?
Ognuno in modo diverso. Snob; competente; meridionale; assolutamente goliardica… ma sicuramente non arrogante, sempre gentile. Non sono una persona semplice nei gusti (dalla tavola alla musica) e questo viene percepito negativamente. Ma tutto passa dentro, no?, e come non metto in bocca cibo scadente, così non scelgo parole brutte ed evito luoghi rumorosi o deprimenti.

18- Consigliaci un libro…
Non so, dipende dai destinatari del consiglio… Posso dirti che per i miei figli, oltre ad aver scritto un diario dei primi anni, ho messo da parte due miei libri che riceveranno quando saranno più grandi: “L’isola di Arturo” di Elsa Morante per lui e “Una donna” di Sibilla Aleramo per lei. [Bella idea, a me sarebbe piaciuto ricevere una cosa del genere, ndD]

19- … e una canzone.
Con la musica ho un’esperienza fluida, mi sta in testa tutto il giorno e mi fa canticchiare arie d’opera persino in pubblico. Ogni tanto qualche amico, provando pietà per me, mi introduce a canzoni contemporanee. Una di queste è “Every Day is like Sunday”! [Di chi è? Adesso la cerco, ndD]

20- Cosa ti appassiona?
Scrivere è il mio vizio. Da un po’ ho in mente una storia e vorrei scriverla. Difficilmente però i miei incipit passano l’esame dell’autocritica. Il mio criterio è pormi la domanda: Cosa ne penserebbe Carlo Levi? A quel punto chiudo il quadernetto e smetto. Comunque questa storia è interessante. La protagonista si chiama Sara Cena e fa la guida turistica per italiani a Berlino. Attraverso un’amica arriva nello studio di una chiaroveggente che le svela molti dettagli del suo passato, per esempio che oltre lei e la gemella nella pancia c’era una terza bambina deceduta alla quinta settimana, la cui morte senza traccia ha dato alle due sopravvissute un fardello di senso di colpa e un rifiuto della felicità; o, ancora, che suo padre aveva tradito la madre; e che nel suo cuore c’era del vecchio risentimento per una storia passata. Sara esce impressionata dal primo incontro e succede che torna ancora varie volte. Nel corso di una seduta la chiaroveggente le rivela che in futuro incontrerà tre uomini: un ragazzo più giovane di lei, italo-tedesco, alto 1,70, castano e bello; un italiano, papà di due bambini, solare e buono, con un matrimonio in crisi destinato a finire (ma avverte Sara che non dovrà essere lei a spingere per accelerarne la fine); e un ritrovato amico italiano di vecchia data con cui ci sarebbe stato un sentimento molto forte. La chiaroveggente le predice che uno di questi uomini sarà l’uomo della sua vita, per sempre. Sara è scettica; ma nel giro di pochi mesi incontra veramente tre uomini che corrispondono in pieno alla descrizione. Qui intervengono dubbi: il destino era segnato o è stata lei, sotto l’influenza della predizione, a cercare che proprio quegli incontri si avverassero? In ogni caso, si ritrova a gestire tre storie d’amore e d’amicizia contemporaneamente e in città diverse, il che richiede sforzi di coordinazione. Sinché non si rende conto che la felicità sta nel sapere che comunque uno dei tre sarà il suo uomo: cioè nell’avere a disposizione la definizione di uno spazio di futuro visibile ad occhio nudo.

21- Una storia autobiografica?
Passo! [Ehehehe…, ndD]

Grazie.
A te!