domenica 12 dicembre 2010

La mia Berlino - Blognovel (1a pagina)

Dalla grande finestra della ex-fabbrica di cioccolata, Sara Cena guardava i fiocchi di neve posarsi sull'acero spoglio: uno dopo l'altro, geometrici e iper-bianchi, si fermavano sui camini, sui sellini, sugli otto diversi contenitori della differenziata. Berlino non era mai stata così lenta. A meno quindici sotto zero, sembrava che il sangue della città, i binari e i volti dei berlinesi si fossero gelati. Da giorni la S-Bahn circolava irregolarmente; qualche avventuroso si ostinava in bicicletta, altri riempivano l'auto dell'unico collega che ne possedeva una. Tutto sommato era una fortuna essere stata licenziata (la sua azienda era una di quelle dislocate in Irlanda): disponeva di quattordici mesi a stipendio ridotto per mettere in piedi un'altra esistenza. Aveva cominciato quella settimana con le visite guidate per le scolaresche, ma la sua idea era di aprire un locale di cucina alternativa. Nella grande stanza, altissima, si era diffuso un pungente aroma di tè alla rosa. Fra qualche minuto sarebbe arrivato Volkmar, il giornalista che occupava la stanza oltre il corridoio a elle; avrebbero preso il tè assieme - a quell'ora lui rientrava sempre con i croissant alla mandorla - e commentato la politica dei verdi o l'ultima uscita del sindaco Wowereit. Ancora poteva godersi la fabbrica ferma, senza voci.
Berlino era silenziosissima.

"ABC, die Katze lief im Schnee!". Le bambine cantavano in cerchio sotto un cielo viola. Nelle loro tutine imbottite, si godevano la neve e l'aria siberiana nel cortiletto della Tagesmutter. Sara caricò le piccole sulla slitta e le trainò attraverso l'Hasenheide: il parco era ancora immacolato, ma già pieno di spacciatori appostati sotto i tassi.
Ripassò mentalmente gli impegni della giornata. Toccava a lei fare la spesa al Biomarkt e preparare la cena. Ma prima doveva accompagnare le bambine a casa. Si ricordò che alle sei aveva appuntamento con la chiaroveggente e le venne da sorridere al pensiero. La cameriera della pizzeria Sorrento le aveva fissato l'incontro: "Non puoi immaginare cosa riesce a vedere!". Dopo sei anni a Berlino, cominciava a sentirsi male: il futuro non andava oltre il momento di spegnere la luce a fine giornata, finiva con la scadenza della Monatskarte. Un giorno era scesa al capolinea della U1 e invece di andare a bere qualcosa nella Rivalerstrasse era rimasta sul ponte sopra la Sprea a guardare i battelli passare. Era il punto di Berlino che più le piaceva, ma lei stava ferma come dentro una cartolina, il fiume non le apparteneva, non la chiamava. Su quel ponte fra due quartieri, fra due sponde, fra binari d'acqua e di ferro, così prossimo alla East side gallery, così aperto al cielo, aveva capito che niente di Berlino la commuoveva.
Le bambine scesero dalla slitta per portare i loro peperoni crudi all'asino. La fattoria degli animali era stata aperta due mesi prima. C'erano un lama, dei pavoni, quattro pecore. Poco oltre il parco, la Berlino multi-kulti, i parrucchieri turchi, il Lidl con le cassiere sottopagate e il Karstadt con le commesse dalle unghie finte a forma di dattero di mare. Strati di vita uno sull'altro.
Cosa le avrebbe detto la chiaroveggente? Aveva paura di una deriva esoterica. L'anno prima si era sfiancata con lo yoga e aveva esagerato con la meditazione; aveva praticato il digiuno settimanale; eliminato la carne dalla dieta. E poi aveva capito che tutto quell'occuparsi di sé era il segno d'un amore a due posti con il secondo sedile da troppo tempo libero.