martedì 12 ottobre 2010

Amore e vino

Lucio Apuleio
METAMORFOSI o Asino d’oro
Garzanti 2002
Traduzione dal latino di Nino Marziano


II
M’ero appena coricato che la mia Fotide, la sua padrona era già andata a letto, se ne venne da me tutta giuliva.
Aveva una ghirlanda di rose fra i capelli e petali di rose anche sul florido seno. S’appressò e mi baciò lungamente, mi cinse il capo di fiori, altri ne sparse intorno. Poi prese una coppa di vino, vi mescolò dell’acqua tiepida e me l’offrì da bere; ma dolcemente me la rubò dalle mani prima ch’io  l’ebbi del tutto vuotata e l’accostò alle sue labbra e bevve a piccoli sorsi, guardandomi. Una seconda coppa e una terza e poi altre ancora così ci scambiammo.
Io, tra i fumi del vino, non solo la mia fantasia ma tutti i sensi sentivo eccitati dalla libidine, bramosi, anelanti; allora, tirandomi su la tunica fino all’inguine e mostrandole quanto impellente fosse il mio desiderio d’amore: “Per carità, Fotide mia”, esclamai, “fa’ presto, vedi come sono tutto teso e pronto alla guerra che tu, senza por tempo in mezzo, mi hai dichiarato. Da quando Amore crudele ha trafitto il mio cuore con la sua freccia, anch’io con tutto il vigore ho teso il mio arco ed ora ho paura che il membro troppo rigido mi si spezzi.
Ma se tu vuoi veramente offrirmi proprio tutte le tue delizie, sciogli i capelli e abbracciami nell’onda delle tue chiome”.

[seguono scene d’amore lascive]

In cosiffatti assalti ci producemmo ben desti fino alle prime luci dell’alba, di volta in volta chiedendo al vino nuovo vigore, perché non scemasse in noi il desiderio e si rinnovasse il piacere.
Così volemmo che molte altre notti fossero simili a questa.


Così scriveva Apuleio di Madaura, africano, filosofo e mago, nel II secolo dopo Cristo.