venerdì 22 ottobre 2010

La crisi degli scrittori, 1938

Nel maggio del 1938 Umberto Notari pubblica sul periodo Finanza d'Italia un articolo intitolato La crisi degli scrittori (Preghiera per l'anima del libro)
Notari fa notare che il problema, pur riguardando l'intera Nazione, incide su un numero ristrettissimo di persone, e cioè sugli scrittori (che quantifica nel numero di duemila), sugli editori e sui lettori effettivi.
I lettori effettivi sono così definiti: "coloro che per naturale inclinazione considerano la lettura un esercizio necessario al loro spirito; che dedicano normalmente un'ora della loro giornata alla lettura di un libro e nel giro di un anno riescono a leggere i quindici, venti volumi che hanno regolarmente comprato".
Secondo Notari nel 1938 i lettori effettivi ammontavano a trentamila unità. Così argomenta il suo calcolo:
"Esclusi i ventidue milioni di donne le quali, per remota tradizione, non leggono libri, ad eccezione di un migliaio [...].
Esclusi, perché non sanno leggere, i tre milioni di bambini di età inferiore agli anni sei. Le bambine sono computate nei ventidue milioni di donne sopracitati [sic!].
Esclusi tre milioni di ragazzi da sei a dodici anni che leggono i libri di scuola e ne hanno d'avanzo [...].
Esclusi i giovinetti dai dodici ai sedici anni (circa due milioni) che [...] sono assorbiti da altre attrattive.
Esclusi i contadini e gli operai (dieci milioni) che non hanno né voglia né mezzi per comperare libri.
Escluso un milione e mezzo di artigiani per le medesime ragioni.
Esclusi gli industriali, i commercianti e i terrieri (due milioni) che nell'epoca nostra vorticosa [sic!] non trovano la requie idonea alla lettura.
Escluso, per identici motivi, il mezzo milione di professionisti [...].
Siamo giunti così a totalizzare esattamente quarantaquattro milioni di esclusi".

L'autore continua con i calcoli e sostiene che la media delle tirature di un libro si aggira intorno a duemila copie; e che la medesima stasi di lettori si verifica anche intorno al giornale. "Ora, è ben noto [...] che esiste un dato di proporzione fra il numero di lettori di giornali e il numero di lettori di libri e che nei paesi nei quali - Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti - l'immensa maggioranza legge un giornale, si hanno forti masse di lettori di libri in confronto delle quali, pur facendo le necessarie proporzioni, le nostre cifre sono desolanti".

Per definire la gravità di una crisi, ricorda Notari, bisogna considerare l'elemento "danno". In fondo in fondo del decadimento del libro ne risentono solo gli scrittori, che sono duemila: che cosa significano duemila "sinistrati" rispetto a quarantaquattro milioni di abitanti? Quanto al danno spirituale, come si può misurare? Quale potrebbe essere l'unità di misura? Il libro ha rapporti rilevanti o irrilevanti con la civiltà, con lo sviluppo e il divenire di un popolo?
Da 60 anni le stesse domande.