venerdì 22 ottobre 2010

Cesare Pavese, La casa in collina

"Con Cate lasciavamo la barca tirata a riva, scendevamo sull'erba, e giocavamo a fare la lotta tra i cespugli. Molte donne m'intimidivano ma non Cate. Con lei si poteva facilmente imbronciarsi, senza perdere l'iniziativa. Era un po' come all'osteria quando si è chiesto da bere: non si aspetta un gran vino, ma si sa che verrà. Cate sedeva e si lasciava carezzare. Poi le prendeva il batticuore che qualcuno ci vedesse. Tra noi le parole non erano molte, e ciò mi dava coraggio. Non occorreva che parlassi o promettessi. - Cosa c'è di diverso, - le dicevo, - tra fare la lotta e abbracciarsi? - Così ci prendemmo sull'erba, una volta, due volte, malamente. Venne il giorno che già sul tram ci dicevamo che andavamo a far l'amore.
[...] Capitava invece nel caffè dove io vedevo gli amici, ma per quanto ci fosse Gallo e la salutassimo tutti, se ne stava seduta in soggezione e aveva perso la risata. Io poi combattevo tra la soddisfazione di averci la ragazza e la vergogna del suo tipo scalcagnato e inesperto. Mi diceva che avrebbe voluto saper scrivere a macchina, servire in un grande negozio, guadagnare per andare a fare i bagni. Le comperai qualche volta un rossetto che la riempì di gioia, e fu qui che mi accorsi che si può mantenere una donna, educarla, farla vivere, ma se si sa di cos'è fatta la sua eleganza, non c'è più gusto.

[...]
Sotto la luna la vedevo bene. Era la stessa ma sembrava un'altra. Parlava sicura di sé, mi parve ieri che l'avevo portata a braccetto. Era vestita di una gonna corta, da campagna. [...]
Restai solo con Cate. - Non vieni a sentire la radio? - mi disse.
Fece un passo con me, poi si fermò.
- Non sei mica fascista? - mi disse.
Era seria e rideva. Le presi la mano e sbuffai. - Lo siamo tutti, cara Cate, - dissi piano. - Se non lo fossimo, dovremmo rivoltarci, tirare bombe, rischiare la pelle. Chi lascia fare e si accontenta, è già fascista.
[...]

- Questo governo, - continuava il vecchio, - non può mica durare.
- Ma è per questo che dura. Tutti dicono "È morto" e nessuno fa niente.

[...]
- Allora, non mi detesti, - balbettai sorridendo, - qualche cosa di buono tra noi c'è stato? Puoi pensare a quei tempi senza cattiveria?
- A quei tempi tu non eri cattivo.
- Adesso sì? - dissi stupito. - Adesso ti faccio ribrezzo?
- Adesso soffri e mi fai pena, - disse seria. - Vivi solo col cane. Mi fai pena.
La guardai interdetto. - Non sono più buono, Cate? Anche con te, non sono buono più che allora?
- Non so, - disse Cate, - sei buono così, senza voglia. Lasci fare e non dài confidenza. Non hai nessuno, non ti arrabbi nemmeno. [...] Sei come un ragazzo, un ragazzo superbo. Di quei ragazzi che gli tocca una disgrazia, gli manca qualcosa, ma loro non vogliono che sia detta, che si sappia che soffrono. Per questo fai pena. Quando parli con gli altri sei sempre cattivo, maligno. Tu hai paura, Corrado.
[...]
- Torniamo, - disse Cate sommessa. - Stai tranquillo. Nessuno ti disturba la pace."